In lontananza, leggermente nascoste da una macchina parcheggiata, le scintille di un accendino lampeggiano tra le mani di uno sconosciuto una, due, tre volte, poi si accendono in una fiammella che arrossisce nel piccolo cerchio rosso e luminoso di una sigaretta. Lo sconosciuto alza lo sguardo soddisfatto e lentamente riprende il cammino. Il fumo della prima boccata si mescola all’aria fredda d’inverno e svanisce nel vento.
Di fronte, sullo stesso marciapiede a cinquanta passi di distanza, sfila, sfiorando le auto in sosta, un altro personaggio. Cammina con le mani chiuse a pugno nelle tasche di una giacca a vento troppo grande, il passo fermo, gli occhi fissi, brillanti, eccitati, persi in pensieri che non hanno forma. E’ una figura cupa, di media statura, ha il volto nascosto dall’ombra del cappuccio portato calato sulla fronte. Se lo guardassimo da vicino ci accorgeremmo del fremito che lo attraversa, della tensione dei muscoli, del tic nervoso che scuote la sua spalla sinistra e del movimento irrequieto delle labbra che si socchiudono in un bisbiglio. Ma siamo dall’altra parte della strada, troppo lontani per poter ascoltare e per vedere questi dettagli.
I due non si conoscono, di questo ne siamo certi, è scritto nei loro gesti, ma le loro traiettorie collideranno a pochi metri da noi e dalla nostra attenzione curiosa.
Lo sconosciuto con la sigaretta tra le dita adesso cammina piano, è probabilmente stanco e non ha fretta. Non sappiamo cosa stia pensando, forse ripercorre il ricordo di quella serata, forse rimugina su un rimpianto o sulle risate sguaiate della ex moglie che non si aspettava di rivedere così presto. Oppure non pensa affatto e passeggia fumando l’ultima sigaretta di quella serata di festa. L’altro personaggio, invece, rallenta e per un attimo il suo sguardo esce dall’ombra: un sorriso rigido e privo di emozione disegnato sul volto. Ancora pochi passi e l’incrocio tra i due sarà ineluttabile, si trasformerà in un fatto compiuto che con consapevole incoscienza siamo rimasti impertinenti ad aspettare.
E infatti accade, i destini si compiono e le due figure sono adesso una di fronte all’altra. Le guardiamo nell’attesa che si sfiorino, che si attraversino per proseguire indifferenti e perdersi. E’ un attimo sospeso, è una sottile e contraddittoria speranza nascosta.
Il tempo della riflessione è trascorso e le due figure sono ormai ferme, faccia a faccia, come due ombre contrapposte disegnate sul muro. Facciamo qualche passo per avvicinarci ma è un riflesso condizionato che ci rende sempre più invisibili.
Sotto il cappuccio il sorriso si è spento in uno sberleffo contratto. L’uomo parla parole impacciate, ruminate, aspre come l’alito che le soffia. “Sigaretta”, è l’unico suono che possiamo ascoltare, ripetuto come una nenia insolita e noiosa. Di fronte a quella cantilena si contrappone un volto ruvido che ondeggia in un diniego fermo e indifferente, arrogante. Lascia cadere la sigaretta. Le scintille di tabacco incandescente rimbalzano sull’asfalto mentre la brace lentamente si spegne.
Un movimento ci sorprende immersi in pensieri impermeabili al buon senso. Non abbiamo visto né chi né quando, ma le ombre adesso si mescolano, oscillano, si separano in un roteare confuso di braccia e di suoni scomposti. Sono fruscii che attraversano la strada, brusii che diventano rumore. che ci raggiungono, che implorano, che ci dichiarano inebetiti guardoni. Sono un allarme, un’allerta inascoltata che ci indica il momento di andare via, di allontanarci indifferenti, di metterci tutto alle spalle, di lasciare gli atti umani compiersi senza testimoni. Ma ormai è troppo tardi, apparteniamo a quella storia, a quel tempo, a quello spazio, ne siamo diventati parte come un dettaglio inutile.
In mezzo a quella danza scomposta una lama lampeggia alla luce dei lampioni. Immaginiamo sia un coltello a serramanico, ne vediamo il luccichio passare da un pugno all’altro sferzando l’aria con traiettorie severe. Le due figure ormai si fronteggiano chine una verso l’altra, occhi negli occhi, precarie come marionette solitarie. I colpi fendono l’aria, colpiscono il vuoto con rabbia, trasformano i respiri in rantoli. Ancora un affondo nel nulla e il coltello passa di mano. Per un istante siamo immersi in un Immobile sconcerto, meravigliati spettatori di un gioco di prestigio inatteso. Un grido ci riporta alla realtà mentre la lama taglia l’aria decisa e si ferma nel corpo sudato che stordito s’arresta, si appoggia e si accascia. Il cappuccio scivola sul volto di quella figura vuota e ne copre come un sudario la smorfia che ne deforma il volto già pallido. Il dubbio ci percuote increduli. Sentiamo una voce, un’imprecazione spezzata, poi il suono dei passi che si trasformano in una corsa a perdifiato. Ascoltiamo il silenzio che avvolge senza indugio la strada. Un’ombra scivola veloce alle nostre spalle. È un’ombra di donna, accelera e scompare, si volta inquieta e svanisce.