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Passava. Passava e guardava i propri passi calpestare il selciato. Passava davanti ai bistrot ormai spenti e alle serrande abbassate, passava sotto le finestre buie e i portoni chiusi. Passava al rosso dei semafori, i taxi passavano senza fermarsi. Passava e pensava alla notte trascorsa, al materasso, al letto, al sonno che lo assale.

Chiude gli occhi e respira.

Passo dopo passo la città scorreva al suo fianco, lenta, senza fretta. Passavano altri passi, passava la luce dei lampioni, passava il silenzio umido della notte, le sirene dei  pompieri passavano lontane. Di nuovo, silenzio.

Chiude gli occhi e respira, stanco.

Il puzzo dell’alito che gli sta urlando suoni incomprensibili lo stordisce. Alza lo sguardo, il pugno si abbassa violento. Lo spingono alle spalle, si appoggia, corre senza correre, le mani e le braccia colpiscono aria. Cade, si alza.

Passano i calci, passano i pugni, passa il silenzio delle grida. Passa il sangue che cola dal naso, passa quel sapore che gli riempie la bocca. Passa l’odore dell’alcool che continua a picchiare. Passa il fracasso dei vetri infranti e il frastuono del battito del cuore. Passa la notte che lo circonda, passa il tempo. Passano i passi che barcollano, passano sempre più lontano.

Chiude gli occhi. Anche l’ultimo respiro passa.

Erwan

Place Igor Stravinsky

9 Giugno 2009.

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