Cadono come foglie, uno sull’altro, in un abbraccio torbido che si scioglie nella polvere. Cadono con il sollievo dell’aria fresca che accarezza il volto, precipitano e senza toccare terra muoiono colpiti in piena fronte. Trentacinque respiri, trentacinque sogni si spengono come candele nell’oscurità. Cadono occhi negli occhi, lo sguardo nello sguardo di chi lo ha preceduto, cadono immersi nel riflesso della notte, buio come uno specchio che si scioglie in una lacrima trattenuta a stento.
Solo qualche raggio di luna filtra tra i rami mentre il plotone d’esecuzione spara inebetito alle ombre, sveglia i fantasmi dei sogni a venire, e scompare nella nebbia immobile che puzza di cordite. Gli ufficiali osservano in silenzio, la sigaretta tra le dita, la pistola in pugno; camminano sul ciglio della strada, impartiscono ordini strozzati, sussurrati nel frastuono dell’esecuzione, urlati nella quiete di quella foresta che sfiora la città. Ad ogni colpo il sangue esplode, macchia le divise e imbratta i volti spenti dei soldati che ancora una volta ricaricano il fucile. Prendono la mira, ma non guardano. Un altro colpo, un altro corpo e anche l’ultimo ribelle si accascia ai piedi delle querce.
Trentacinque riflessi di un incubo che giunge dal passato, trentacinque orologi rotti pretesi con rabbia dal grido della storia, corpi contorti e offesi che aspettano ammucchiati e scomposti i primi raggi dell’alba.
Il bosco tacque quella notte, le foglie fremirono immobili nel vento in un pianto rarefatto e sublime come il singhiozzo attonito di un bambino, ferite come memoria che non dimentica.